Valeria serrò le labbra e cercò di deglutire quel poco di saliva che le rimaneva nella bocca asciutta. Sentiva il calore delle lacrime che le stavano nascendo dalla gola risalire lungo il collo, sulle guance e su fino agli occhi fino a colmarli. Non le avrebbe potute trattenere questa volta. Anche se la situazione non era quella giusta, anche se non avrebbe voluto piangere proprio lì, davanti a loro, nel bel mezzo della pizzeria piena di gente.
Il padre del bambino era ancora dietro di loro, cercava di calmarlo tenendolo stretto con tutte e due le braccia, per lasciare che la sua rabbia defluisse e che tutto tornasse ad una precaria normalità. Del resto era chiaro che quella non era la prima volta che accadeva una cosa del genere.
“Dovete scusare mio figlio” aveva detto mortificato guardando Valeria, “si arrabbia perché non riesce a giocare con gli altri bambini”. Valeria, ancora piuttosto scossa, era solo riuscita a dire al bambino, con un nodo nella voce, “Non ti preoccupare, non è successo niente”. Mentre lui guardava altrove, sbattendo forte i denti, gli occhi bui. Assente.
Si passò le dita sulla caviglia dolorante cercando di capire dove fosse finita la scarpa. Senza il minimo preavviso il bambino si era allontanato dall’area giochi lasciando i chiassosi coetanei, le si era avvicinato alle spalle e gettandosi sotto al tavolo le aveva afferrato il sandalo rosso per strapparglielo dal piede, con una forza insospettabile si era così attaccato con unghie e denti alla sua caviglia. Se non ci fosse stata tanta violenta disperazione in quel gesto, si sarebbe quasi potuto riderne. Gli amici al tavolo erano attoniti, qualcuno aveva cercato di sdrammatizzare la scena surreale con una battuta qualunque che scivolò sull’orecchio sinistro di Valeria, per finire nella bufalina che il cameriere le aveva appena posato davanti. Corrado la guardava in silenzio, dall’altro capo del tavolo. Era come se lui sapesse quello che stava provando in quel momento. Valeria lo avvertiva con chiarezza. Gli altri la conoscevano da tempo, certo, ma con Corrado era diverso, il livello a cui comunicavano era superiore, nettamente. Gli era bastato uno sguardo per capirla.
A Valeria invece era bastata la coscienza dello sguardo di lui per sentirsi gonfiare dentro e realizzare che era impossibile trattenere le lacrime e fingere indifferenza. Non con Corrado lì davanti. Non dopo avere visto gli occhi del bambino. Quindi si arrese. E pianse. Sentiva gli occhi di Corrado addosso, sentiva che le sue sciocche lacrime le avrebbe comprese solo lui. Sentiva che avrebbe solo voluto piangere sulla sua spalla. Per placarsi, per colmare quell’antico dolore che si apriva alla bocca dello stomaco e tornava a dilagare in tutto il corpo. Ma non lo guardò. Non lo guardò mai. Nemmeno quando gli altri la cercavano di consolare chiedendole se aveva dolore o se aveva bisogno di bere dell’acqua e non lo guardò nemmeno quando il cameriere
arrivò dicendo che il padre del bambino aveva pagato il loro conto per scusarsi dell’accaduto e Corrado si era alzato per andare a parlargli e ringraziarlo o semplicemente dirgli che non doveva, che avevano capito la situazione. Insomma pianse. E non fu un pianto liberatorio, uno di quelli che fai quando i nervi cedono e le emozioni sono troppe per starsene tutte schiacciate dentro al petto. No. Quel pianto, era un canto di solitudine. Un canto di dolore riemerso da lontano, schiacciato in fondo, nel cassone dei ricordi.
La scarpa era finita sotto ad una sedia del tavolo accanto al loro, Costanza la vide per prima e si alzò per recuperarla. “E’ proprio un bel sandalino rosso, dove lo hai preso?” chiese a Valeria cercando di coprire il silenzio in quella che doveva essere un’allegra pizzata tra amici.
A Valeria comparve davanti la sagoma di lei. Alta e scura. Le piaceva vestirsi di nero, con abiti ampi e gitani, grandi orecchini colorati e collane monolitiche. “Prendili ti prego. Ti stanno da dio.”. “Solo se li prendi anche tu.”. “Mio dio ma sono rossi!”. “Il rosso è il colore di questa vacanza andalusa un po’ pazza, non trovi?”. E ridendo, li presero. Quanto ridevano insieme, loro due. Da quel giorno a Siviglia, non l’aveva più vista. Le faceva ancora così male pensarci. Eppure quei sandali li metteva spesso, anche dopo tutti quegli anni, quasi a non volersi mai perdonare fino in fondo, quasi a non volerlo mai seppellire del tutto nella memoria, quel piccolo dolore irrisolto.
Le sue fughe, i pianti isterici, le crisi di panico, le risate, le sbronze, gli uomini lasciati e ripresi, i continui licenziamenti, le profonde depressioni in cui ricadeva, ciclicamente. E Valeria che non poteva che amarla. Era una di quelle persone che si amano da subito. O si odiano. Da subito. Lei l’aveva amata dal primo istante, nonostante non fosse affatto facile amarla. Che esserle amica significava ogni giorno soffrire con lei delle sue angosce, ogni giorno cercare di convincerla che i suoi mostri non erano che fuochi di paglia. E nonostante tutto vederla sprofondare in un abisso di paranoie e psicofarmaci senza poterci fare nulla, se non continuare ad amarla e ad osservare inerme, tra le sfuriate, le incoerenze e la sua grande fragilità. E non c’è più ingiusta punizione dell’impotenza, per chi ama. Poi la sua esplosione di violenza, proprio lì, in quello che doveva essere il loro viaggio. Quelle insensate accuse gridate dalla voce della disperazione, dalla voce di chi per proteggersi distrugge chi lo ama, di chi per salvarsi fa piazza pulita, devasta e annienta, lasciandosi solo polvere alle spalle. Così era andata. E i sandaletti rossi erano rimasti l’ultimo gesto che le ricordava unite. Quando all’aeroporto si salutarono freddamente, Valeria non lo sapeva che Carla era incinta. No, non lo sapeva.
Per lungo tempo non seppe più nulla di lei. L’aveva cercata una sola volta, sperando la sua follia di dolore fosse scemata e che potesse capire che lei voleva solo esserle vicina, aiutarla ancora, se mai possibile. Ma la sua chiusura e la sua rabbia erano ancora le stesse e Valeria dovette prendere atto che a Carla non faceva più bene la
sua vicinanza. Così sparì. Non chiese di lei a nessuno, non ne parlò con nessuno, faceva troppo male ricordare quel giorno. Tutta quella cieca disperazione, tutto quel male che era uscito e si era rovesciato su di lei, senza un senso. Eppure si sentiva in colpa. Forse perchè non aveva saputo aiutarla, forse perchè non aveva saputo amarla. Mai abbastanza. Ed ora era tardi.
Solo una volta, qualche anno dopo, seppe da un amico comune che Carla era scomparsa due anni prima, lasciando l’uomo che l’aveva messa incinta con il bambino di appena tre anni. E non era la prima volta che accadeva, la prima lui aveva solo qualche settimana e lei era sparita per oltre un mese. Quando la ritrovarono era in uno stato di depressione tale che la dovettero ricoverare in clinica per parecchio tempo. Un bambino speciale le disse anche, l’amico comune, e dalla sua espressione non c’era dubbio a che cosa si riferisse.
Corrado la stava ancora guardando, dall’altro capo del tavolo. Lui era forse l’unica persona al mondo a cui avrebbe potuto raccontare di Carla. Chissà se ne avrebbe avuto mai l’occasione. E mentre si riallacciava il sandaletto rosso rispondendo a Costanza con un sorriso tirato, ebbe un’idea strana. Forse quella scarpa con i suoi ricordi, forse quel bambino, forse Corrado con cui non riusciva mai a fingere, forse quella stessa violenza, quella stessa disperazione distruttiva e distruttrice, forse quelle lacrime che erano sgorgate così inaspettate.
Corrado la guardava e capiva, lui capiva tutto, senza sapere, lui capiva. E quello sguardo che lei ora decise di incontrare le disse che era il momento.
Come la faccia ancora bagnata dalle lacrime e il cuore gonfio di certezza si alzò dalla sedia. Gli amici la guardavano, Corrado le sorrideva. Lei puntò dritta verso l’area giochi, dove il padre e il bambino si erano diretti poco prima. Arrivò alle sue spalle, si sfiló i sandali rossi e con tutte e due le mani aperte, li porse al bambino.
Il suo sorriso bastò.
Valeria girò sui suoi talloni scalzi e si diresse verso casa.
Lui, lo sapeva bene, l’avrebbe seguita. E sulla sua spalla avrebbe finalmente
colmato il suo pianto.